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DIETRO la BARRIERA

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IN RICORDO DI CHECCO MEDORI


Chi, del Luna Park o del Circo, è passato da Perugia ha sicuramente ricevuto la visita del Parroco di Ferro di Cavallo. È la Parrocchia più vicina al Pian di Masiano (anche se non è proprio quella del territorio) e il Parroco, don Francesco Medori, è l’Incaricato della Diocesi di Perugia per la pastorale tra i fieranti e circensi.
Chi conosce un po’ di storia del circo italiano non può sfuggire l’omonimia con un altro Francesco Medori, detto Checco che per diversi anni fu parte del trio «Sorellini» nel Circo Togni.
Non è un caso perché del «Bagonghi Medori» ne è il nipote.
Ne Parla Enrico Bassano nel suo libro Darix tra le belve”: “Medori, detto Checco, nato a Roma e figlio di un carbo­naio, a ventiquattro anni, dopo uno spettacolo del Circo Togni attendato a San Giovanni, si presentò ad Ercole, e chiese di essere scritturato. «In principio - disse ad un giornalista che lo intervistava - non sapevo fare niente; ma prova e riprova adesso dicono che sono bravo. Fuori del Circo sarei sempre stato un piccolo carbonaio, più piccolo dei sacchi di carbone in mezzo ai quali vivevo. Qui, invece, sono un "grande" uomo ... ».
Era diventato un bravo « cascatore », rimbalzava come una palla di gomma, possedeva una verve comica che ben pochi altri bagonghi hanno posseduto.
Quale terzo «Sorellino», gli toccò immediatamente un compito preciso, in gran parte escogitato da Darix: quello di sostenere la parte del «marmittone» più «marmittone» dei suoi due compagni.
Tutta l'entrata era dedicata agli incidenti buffissimi che toccavano alle tre reclute durante l'esercitazione in piazza d'armi. La serie delle catastrofi, delle cadute, degli intralci pro­vocati dai fucili, dalle bandoliere, dai berretti che cadevano ogni momento ai piedi dei coscritti, i colpi dati reciprocamente sia con le canne delle armi sia con le pacche sulle zucche e sulle spalle, erano a getto continuo, mentre al minuscolo Medori era­no riserbate le storture delle parole pronunciate dai suoi due commilitoni: «ciufile» e «fulice» al posto di fucile, «cama­relle» in luogo di caramelle, mentre i componenti della banda diventavano addirittura «banditi».
Medori era la vittima designata. Darix e Vioris non alzavano un piede da terra senza farlo arrivare a destinazione: il fondo del filo della schiena del compagno; i fucili dei due « car­nefici» non avevano, nelle varie figure della esercitazione, che un bersaglio preciso: la testa della vittima designata. E i risultati di tutte quelle vessazioni coordinate e perfettamente eseguite, erano di una comicità grottesca, quasi violenta. Al centro del trio, con il ridevole contrasto della sua statura di un metro e poco più, serrato fra i macignosi Darix e Vioris, Checco sembrava anche più piccolo, mentre il «ciufìle» enorme gli sbandava da tutte le parti, e il cappello napoleonico gli scendeva a volte fino ad oscurargli la vista e a volte volava via come un aquilone. Il risultato era addirittura contagioso: poche volte il pubblico ha avuto l'occasione di ridere senza interruzione per almeno dieci minuti.”

Troviamo un capitolo dedicato a Checco Medori anche nel libro “Sospeso nel vuoto” di Ruggero Leonardi dal titolo “Clown di contrabbando” in cui si racconta che Checco nel desiderio di concedersi una pausa dai Togni volle aggregarsi al Circo Palmiri mentre dalla Liguria aveva deciso di passare in Francia, ma Ercole non gli consegna il passaporto ed il povero “Bagonghi” non trova di meglio che attraversare il confine nascosto in un baule di stoffe. Le cose a Nizza non andarono molto bene ed il Circo Palmiri rientrò subito in Italia. Ad un Ufficiale della Finanza che, amante del circo, aveva visto lo spettacolo sia a Ventimiglia che a Nizza, non passò inosservata la presenza del piccolo clown di qua e di là dal confine, ma non alla frontiera. La storia di Checco Medori finì prima del tempo, Così racconta Bassano:
“Il « numero» dei Sorellini restò lungamente in programma, accolto sempre con massima simpatia. Avrebbe potuto costituire un ottimo «pezzo» di repertorio, riprendendolo ogni tanto e rinfrescandolo. Invece fìnì tragicamente. Il 24 agosto 1951, a Bolzano, durante un incendio che aveva già attaccato la tenda dello chapiteau) il bagonghi Checco volle coraggiosamente ar­rampicarsi su per un pennone di sostegno, con un estintore fra le braccia, per portare il suo contributo alla febbrile opera di spegnimento alla quale prendevano parte tutte le persone del Circo. Il fumo l'investì, lo soffocò. Il bagonghi cercò di resistere disperatamente, ma non riuscì che a rendere più lunga la sua lotta. Poi precipitò a terra, piccolo, informe, grottesco, «angelo volante» dalle ali stroncate”.
In Cammino 2010-4